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    CITAZIONE (-Guy Incognito- @ 24/6/2018, 21:51) 
    I precedenti governi non avevano un premier farlocco privo di qualsiasi carisma manipolato da uno che ha malapena finito il liceo e fino a qualche anno fa faceva lo steward e parolaio razzista che si comporta ancora come se fosse in campagna elettorale....

    Bhe ma vuoi mettere un conte ad un renzi?
    Almeno conte non ha fatto nel g7 nessuna gaffe o errore.
    Ed è un personaggio abbastanza acculturato e intellettuale.
    Poi certo è che salvini come carisma è spanne sopra a tizi come gentiloni e co.
    La verità è che la mente italiana è adatta a loro.
    Abbiamo bisogno dell uomo forte, di togliersi da ogni responsabilità personale, di cedere alle emozioni, di lasciar fare ad altri.

    CITAZIONE (Franzus @ 28/6/2018, 09:37) 
    I laureati scappano da questo paese perché questo paese ragiona con la mentalità che hai appena descritto. E una persona che vuole veramente eccellere nell'accademia aborrisce l'idea di questo protezionismo che punta solo nella direzione di un provincialismo incestuoso. Non farebbe altro che consegnare ancora di più questo paese all'irrilevanza su scala mondiale.

    In verità la maggior parte scappa perché l economia non permette di trovare lavoro.
    E andando all' università e parlando con la gente almeno da me non è solamente come dici tu
     
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    CITAZIONE (Demone del Labirinto @ 29/6/2018, 10:47) 
    Bhe ma vuoi mettere un conte ad un renzi?
    Almeno conte non ha fatto nel g7 nessuna gaffe o errore.

    A proposito di gaffe: http://espresso.repubblica.it/palazzo/2018...ridono-1.324459
    " Lei non sa chi sono io!" :patpat:

    CITAZIONE
    C'entra*.

    Il fatto che il mercato del lavoro non riesca ad assorbirli non è un problema dell'università ma di un mercato del lavoro eccessivamente spostato verso ingegneria, matematica, statistica e materie economiche.

    Il dato che evidenziavo io è che in Italia c'è una percentuale di laureati nettamente inferiore al resto d'Europa e che quindi il 30% italiano rispetto alla media europea è un dato basso in termini assoluti.

    I dati vanno compresi, non interpretati.

    A parte l'insopportabile pedanteria nel correggere un refuso, ti vorrei far notare che è assolutamente un problema dell'università (e in generale delle istituzioni scolastiche) dare delle prospettive lavorative ai propri studenti. E il mercato del lavoro se ne sbatte di dover giustificare lo squilibrio di laureati in informatica / matematica / statistica eccetera (anche perché, tra l'altro, non è un'entità monolitica): semplicemente da una parte ci sono pochi laureati con queste competenze, dall'altra una forte necessità delle aziende di sfruttare le abilità in quei campi per migliorarsi.

    Nel caso delle materie umanistiche invece c'è un surplus di laureati a fronte di un numero limitato di professioni che richiedono quelle competenze.

    Solo in italia vedo questa specie di pensiero alla rovescia per cui la scuola dovrebbe essere del tutto avulsa dalle necessità della società che la circonda, con la conseguenza poi di vedere questa disconnessione tra il mondo accademico e quello lavorativo.



    Parlando poi dei dati: un dato è che abbiamo meno laureati che nel resto dell'Europa, e questo per esempio è dovuto al fatto che in Italia, con un tessuto produttivo formato soprattutto da PMI, i laureati non vengono valorizzati come altrove, mentre gradi di istruzione superiori alla laurea non vengono considerati e anzi possono diventare un handicap. Questo vuol dire meno possibilità di carriera e stipendi più bassi rispetto ai colleghi Europei.
    Naturalmente ci sono anche altri fattori, come quello psicologico della sfiducia nel valore della laurea (esagerata, nonostante le osservazioni sopra), o la difficoltà di molti corsi di studio che tendono a rendere difficile laurearsi nei tempi prestabiliti e portano molti studenti ad abbandonare il proprio corso, o la bassa spesa pubblica destinata alla ricerca.


    Un altro dato, diverso e che va quindi letto nel contesto italiano, è che dei pochi laureati che abbiamo, un numero sovrabbondante, in termini relativi, proviene da lauree umanistiche. E il fatto che questo crei dei problemi non è un interpretazione, ma un dato di fatto, testimoniato dai livelli di impiego dei vari settori di studio: la percentuale di laureati umanistici impiegati (mi sembra che il dato sia a 1 anno dalla laurea) è di 10 punti inferiore dei laureati in scienze di base (fisica/ chimica / biologia) che a loro volta perdono 10 punti rispetto agli ingegneri e agli statistici.

    Quindi da una parte abbiamo il problema dei pochi laureati, dall'altra abbiamo il problema che all'interno di questi pochi laureati, un numero eccessivo si laurea in materie che sono poco utili a trovare un lavoro.

    *se ci sono refusi mi scuso con i lettori suscettibili.
     
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    Bhe tecnicamente era un avvocato.
    Dato che per quello che so è iscritto all albo.
    Quindi non ha torto effettivamente a dire che è anche un legale nel senso di sinonimo di avvocato.


    Bhe dipende però di possibilità per le lauree umanistiche ci potrebbero essere se sviluppate.

    Ma è un discorso ampio.
     
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    Coso (Aka Dud) Evita però di stare a correggere i refusi altrui, l'unico risultato che arrechi al tuo interlocutore è fastidio.
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    (Non è pedanteria, è la lingua italiana).

    Se davvero il mercato del lavoro fosse autorizzato a sbattersene, non ci si dovrebbe lamentare del fatto che poi i giovani italiani laureati diventino eccellenze all'estero o comunque riescano ad avere successo

    Il fatto che il mercato del lavoro non sia in grado di assorbire laureati e/o non li sappia valorizzare non è un problema universitario, ma del mercato del lavoro.

    Ovviamente poi si opta per l'andare all'estero.

    Sui laureati umanistici: se problema fosse accademico e non del mercato del lavoro, non si spiegherebbe come mai il distacco nel resto d'Europa non sia così ampio come in Italia.

    Le università italiane preparano meno bene di altre? Può essere.

    Oppure c'è un problema del mercato del lavoro in Italia indipendentemente dal fatto che uno (legittimamente) decida di studiare lettere anziché ingegneria.

    È facilissimo dire "colpa dell'università" ma è una semplificazione, dato che la laurea umanistica in Italia è vista come un disvalore (a prescindere dalla qualifica).

    Aggiungo che, tra l'altro, lo stato ha sempre tagliato su istruzione, riceca e sviluppo, portando anche chi avesse avuto il desiderio di fare ricerca ad andarsene.

    (Senza contare che specialmente in Italia, tutto il settore culturale potrebbe offrire potenzialità infinite per i laureati in materie umanistiche che non vengono assolutamente sfruttate).

    Poi oh, liberissimi di pensare che le lauree umanistiche non servano, ma magari non è proprio così.
     
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    Il mercato del lavoro non è un ente, è l'insieme delle richieste che vengono dalle aziende private. A meno che tu non sia un comunista statalista che non vede l'ora di fare un po' di economia pianificata (spoiler: non è finita bene), non c'è modo di normarlo. Che poi il mercato del lavoro in italia faccia schifo siamo d'accordo, e infatti la gente se ne va all'estero dove trova posizioni migliori. Se questo flusso non si arresta (non si arresterà, anzi sta aumentando) necessariamente il mercato sarà costretto a evolvere per essere più competitivo rispetto alla concorrenza estera, oppure le aziende possono fallire. In ogni caso lo stato c'entra poco.

    L'università, e in generale il sistema educativo italiano, sono invece riformabili. Evidentemente così come sono non riescono ad offrire agli studenti una preparazione adeguata (certificato dai risultati nei test PISA per esempio), né riescono a inserire efficacemente gli studenti nel mondo del lavoro. Indovina chi si deve adattare?


    Non è che le lauree umanistiche non servano, è che ci sono più persone con una laurea in filosofia, per esempio, di quante non possano essere assunte dalle aziende. Colpa delle aziende? Può darsi. Però a fare la fame è comunque il filosofo. Allo stesso tempo le aziende faticano a trovare programmatori / sistemisti. Che fare?
    Forse il sistema educativo italiano potrebbe fare più ore di informatica a scuola? Magari si potrebbero tagliare alcune ore di latino nei licei, dato che allo scientifico se ne fanno più di quelle di matematica? Mistero!


    CITAZIONE
    Bhe tecnicamente era un avvocato.
    Dato che per quello che so è iscritto all albo.
    Quindi non ha torto effettivamente a dire che è anche un legale nel senso di sinonimo di avvocato.


    Bhe dipende però di possibilità per le lauree umanistiche ci potrebbero essere se sviluppate.

    Ma è un discorso ampio.

    Su Conte il problema è che ha cercato di misurarselo con gli altri ministri e quelli lo hanno preso (giustamente) a pesci in faccia. Un incontro internazionale non una gara a chi ha il cv (falso) più lungo.

    Se hai un'idea su come impiegare umanisti che non è ancora stata sviluppata, metti su un'azienda e assumili. Non è una provocazione, è quello che farei se avessi un'idea brillante nel cassetto per sfruttare il potenziale nascosto di una risorsa poco sfruttata.
     
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    Per tornare all'articolo..limitare la direzione di musei e monumenti vari ai soli italiani sarebbe già un ottimo modo per sfruttare le qualifiche umanistiche
     
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    lo ... lo sai che staresti solo sostituendo umanisti con altri umanisti?
     
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    CITAZIONE
    Il mercato del lavoro non è un ente, è l'insieme delle richieste che vengono dalle aziende private

    E l'acqua è bagnata.

    Come qualunque tipo di mercato, anche quello del lavoro ha delle storture a meno che non si creda in una mano invisibile che sistemi tutto.

    CITAZIONE
    A meno che tu non sia un comunista statalista che non vede l'ora di fare un po' di economia pianificata (spoiler: non è finita bene), non c'è modo di normarlo

    :dubbio:

    Veramente il mercato del lavoro è uno dei mercati più normati e regolati che ci siano :oo:

    CITAZIONE
    Se questo flusso non si arresta (non si arresterà, anzi sta aumentando) necessariamente il mercato sarà costretto a evolvere per essere più competitivo rispetto alla concorrenza estera, oppure le aziende possono fallire. In ogni caso lo stato c'entra poco.

    Io di stato non ho parlato, se non nell'ambito della ricerca :oo:

    CITAZIONE
    L'università, e in generale il sistema educativo italiano, sono invece riformabili. Evidentemente così come sono non riescono ad offrire agli studenti una preparazione adeguata (certificato dai risultati nei test PISA per esempio), né riescono a inserire efficacemente gli studenti nel mondo del lavoro. Indovina chi si deve adattare?

    Ossì, facciamo un'altra fantastica riforma di università ed istruzione. Si dà il caso, però, che fino agli anni '90, le scuole italiane fossero un'eccellenza. È stato con le riforme dell'ultimo trentennio che la si è portata ai livelli di oggi.

    Ma senza andare a far reminiscenze dei bei tempi che furono, il discorso è molto più basilare: i laureati non devono/dovrebbero più pensare ad un solo mercato del lavoro ma a più mercati del lavoro.

    E come dici anche tu, alla fine a perderci saranno le aziende e non i laureati in materie umanistiche.

    Una soluzione potrebbe essere un punto di incontro a metà strada tra università, aziende e stato con un maggior investimento pubblico e privato nei sistemi della ricerca e lo sviluppo (per esempio: le think tank che in Italia sono limitate a fondazioni in cui è pressoché impossibile entrare).
     
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    Sì scusa, ho scritto male, intendevo che non è possibile fare leggi che obblighino le aziende ad assumere una certa categoria di persone. Chiaramente il mercato del lavoro è estremamente regolato.


    Intendi dire, la scuola italiana era un'eccellenza in un mondo pre-globalizzazione e pre-crisi degli anni '90 e poi del 2008? Bhe potrei anche crederci, e non mi interesserebbe granché, negli ultimi 30 anni il mondo è cambiato. L'impostazione gentiliana scuola italiana no.
     
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    CITAZIONE (Franzus @ 29/6/2018, 17:40) 
    Sì scusa, ho scritto male, intendevo che non è possibile fare leggi che obblighino le aziende ad assumere una certa categoria di persone. Chiaramente il mercato del lavoro è estremamente regolato.


    Intendi dire, la scuola italiana era un'eccellenza in un mondo pre-globalizzazione e pre-crisi degli anni '90 e poi del 2008? Bhe potrei anche crederci, e non mi interesserebbe granché, negli ultimi 30 anni il mondo è cambiato. L'impostazione gentiliana scuola italiana no.

    Veramente le eccellenze ci sono pure adesso (non più come prima, ma ci sono).

    E l'idea che negli anni '90 il mondo non fosse globalizzato è (quanto meno) risibile.

    Non capisco in questo discorso cosa c'entri la crisi del 2008, francamente.

    A meno che la tua idea non sia che la crisi economico-finanziaria del 2008 non abbia portato ad un livellamento verso il basso nella domanda di lavoro... Ma la cosa varrebbe per tutti i titoli di studio e non solo per gli umanisti (giacché pure alcune facoltà di ingegneria non garantiscono più un lavoro).

    (E comunque a parità di titoli di studio, i laureati italiani hanno un bagaglio teorico che nulla ha da invidiare a quelli di altri paesi).
     
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    CITAZIONE (Franzus @ 29/6/2018, 16:04) 
    lo ... lo sai che staresti solo sostituendo umanisti con altri umanisti?

    Infatti il problema era solo che "regalavi" posti di lavoro che necessitano un determinato tipo di preparazione a persone non italiane,non la preparazione che fornisce un indirizzo universitario
     
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    Salvino propone la nascita di una "super Lega". Pare quasi una barzelletta....
     
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    Come smontare la retorica di Matteo Salvini




    Il comizio di Matteo Salvini, ministro dell’interno, a Pontida domenica scorsa, è un discorso chiave per capire l’ideologia della Lega e di questo governo. La definizione di populismo, rivendicata più volte da Salvini stesso e dagli esponenti dell’alleanza gialloverde, non è – come si pensa spesso – una generica ispirazione di protesta o di antipolitica. Da Pontida non si può che riconoscere il carattere politico e insieme la struttura ideologica della nuova Lega.

    Salvini fa un discorso fondativo, che ha alcuni elementi cardinali.

    La classica divisione della società popolo contro le élite viene declinata da Salvini in famiglie di mamme e papà contro intellettuali (Gad Lerner, Michele Santoro, Eugenio Scalfari) ed Europa. Se il nemico feticcio di Silvio Berlusconi erano “i comunisti”, quello di Renzi “i gufi”, per Salvini è chiaro qual è l’obiettivo polemico. Per introdurlo sul palco il presentatore grida: “Facciamoci sentire fino a Parigi, fino agli attici di New York”. Ossia da Emmanuel Macron e da Roberto Saviano, esponenti dei “radical chic di salotto” “che domani commenteranno come è brutta la gente a Pontida, ma qui c’è gente che ama”.

    Ogni progetto fondativo prevede alcuni elementi rituali. Salvini – il capitano, come si soprannomina – sa che sta raccogliendo intorno a sé una comunità, e che per far questo gli occorre un linguaggio proprio, una liturgia, un’identità storica – del resto la Lega, con i suoi trent’anni, è la formazione politica più vecchia oggi in parlamento.

    Il tono del suo discorso è perennemente passivo-aggressivo. Pronuncia cose feroci, ma chiosa sempre con “e lo dico con un sorriso, con un abbraccio”. Se la prende con i giornalisti, quasi stendesse delle liste di proscrizione, ma poi gli augura con tono minatorio “lunga vita umana e professionale”.

    Sullo sfondo del palco c’è scritto “Il buonsenso al governo”, perché “buonsenso” è il concetto passepartout che consente di dire cose razziste, fasciste, sostenere tesi false con la scusa che sembrano assennate perché condivise. Ma oltre il buonsenso nel pantheon valoriale della Lega c’è la proclamazione dell’amore: “Qui c’è amore, non c’è invidia, non c’è gelosia”. Chi è contro la Lega è “un rosicone”, “un frustrato di sinistra”, che esaurirà “le scorte di Maalox in farmacia”.

    Il suo è sempre un sentimentalismo esplicito, il primo autore che cita è il poeta Davide Rondoni, da sempre vicino a ambienti clericali di destra: “L’amore è l’occupazione di chi non ha paura”. Ma per costruire una comunità, anche di questo Salvini è conscio, ci vuole un reciproco riconoscimento. Innanzitutto un legame ideale: “Non siamo un partito, siamo una famiglia”. Ai militanti leghisti si rivolge sempre chiamandoli non solo amici, ma “fratelli e sorelle”, “papà e mamme”.

    Poi ci vuole un rito sacramentale. È quello che ufficia all’inizio del comizio. Chiede di evocare tutti insieme la benedizione di chi “non c’è più e ci guarda da lassù”, poi scende dal palco e si avvicina, prendendola per mano, alla madre di Gianluca Buonanno (storico esponente della Lega morto in un incidente stradale nel 2016) e con lei bacia un albero ribattezzato l’albero della vita.

    L’aspetto religioso è studiato. È un sincretismo che mescola elementi paganeggianti – Pontida del resto era la città del dio Po e dei druidi per la Lega di Umberto Bossi – con moltissimo immaginario cristiano. È chiaro che l’elettorato presso il quale si vuole accreditare è quello: il familismo meridionale e il popolo dei Family day, delle sentinelle in piedi, che viene solleticato nelle sue idee più reazionarie: “Difenderò il diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà”, “mi fa schifo solo il pensiero dell’utero in affitto”, le donne sono chiamate sempre mamme (“La sfida più bella del mondo”).

    La destra di Salvini è la destra vandeana, quella della triade Dio, patria, famiglia che si oppone alla triade delle democrazie liberali, libertè, fraternitè,egalitè. Per questo, oltre la lusinga continua per le forze dell’ordine che, promette, avranno a disposizione le pistole elettriche, “per essere più buoni, non più cattivi”; oltre l’ossessivo, persino cantilenante nei toni, discorso sui respingimenti, infarcito di fake news (“gli scafisti hanno capito che l’aria sta cambiando e ora partono coi gommoni sgonfi”), il bersaglio di Salvini sono i diritti civili e sociali, le conquiste del riformismo degli anni settanta. Gli affondi più duri sono contro la legge Gozzini e le riforme carcerarie successive (“Occorre cancellare gli sconti di pena per assassini e stupratori. Nessuna pietà. Per me rieducare qualcuno che violenta un bambino è lontano da concepire per il mio piccolo modo di vivere”) e contro la legge Basaglia, anche qui in nome delle famiglie (“Noi stiamo lavorando per un’Italia più buona. Penso alla assurda riforma che ha lasciato nella miseria e nella disperazione migliaia di famiglie con parenti malati psichiatrici”).

    Idee e realtà

    Anche la pensatrice cristiana Simone Weil viene usata contro i diritti dei migranti. “Come dice Simone Weil, i doveri vengono prima dei diritti, e questo se lo deve mettere bene in testa chi arriva domani in Italia: non c’è niente di gratuito e regalato”, “Come dice Simone Weil, è criminale tutto ciò che ha come effetto di sradicare un essere umano o di impedirgli di mettere radici: tra Bruxelles, Berlino e Parigi è quello che hanno provato a fare con noi”.

    Le due citazioni di Salvini sono estrapolate, fraintese, mal riportate dalle primissime pagine di La prima radice di Weil, nel cui bellissimo incipit invece troviamo parole di segno del tutto opposto: si parla di obblighi e non di doveri, e si dice che l’obbligo è un ideale superiore: “Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde” e poi “C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano”. Non si tratta solo di sciatteria: Simone Weil è una pensatrice libera, eterodossa. Metterle in bocca parole non sue può sembrare più semplice perché lei non appartiene a una famiglia politica ben precisa. Giancarlo Gaeta, curatore di molte traduzioni italiane di Weil, mi dice che “utilizzare La prima radice contro gli immigrati è ridicolo e pericoloso insieme”, e ricorda che un tentativo di appropriazione del genere c’è stato anche in Francia da parte della destra reazionaria. Una strumentalizzazione che però è stata respinta con vigore da parte di molti intellettuali.

    Il catechismo della “Santa romana chiesa” viene citato invece per legittimare i respingimenti. Salvini risponde idealmente al versetto evangelico “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25, 35) con il paragrafo 2241 del Catechismo: “Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero…”. La misura del possibile secondo Salvini è colma: 60 milioni, sostiene, sono il massimo delle persone che l’Italia può ospitare. Il resto va aiutato, al solito, “a casa sua”.

    L’ultimo importante mattone di questa costruzione ideologica è Adriano Olivetti, lo storico industriale italiano che negli anni sessanta a Ivrea immaginò, a partire dalla sua fabbrica, una nuova concezione di società. Anche Olivetti è un pensatore senza appartenenze politiche. A Ivrea alle elezioni di giugno scorso ha vinto per la prima volta nella storia un sindaco di centrodestra, e Salvini cita Olivetti alla fine del comizio come “un eroe a parole di una sinistra che non esiste più”, suggerendo di tornare a studiare i suoi libri anche nelle scuole. Ma poi la citazione che fa è generica e sballata: “La sua idea di comunità, di lavoro e di impresa era fondata sul rispetto. Penso con lui a un’Italia fondata sulle comunità, a una riforma costituzionale che potrebbe mettere insieme Olivetti, Miglio, e i tanti pensatori autonomisti e federalisti”.

    Il comunitarismo di Olivetti probabilmente arriva a Salvini attraverso il think tank leghista Il talebano, legato a movimenti e pensatori di estrema destra che ha tentato negli ultimi anni di appropriarsi di Olivetti proprio perché è un autore anticonformista ma coerente. Beniamino de Liguori, nipote di Olivetti che ha ripreso le sue Edizioni di Comunità, pubblicando molti dei testi di Adriano, pensa che queste strumentalizzazioni lasciano il tempo che trovano: “Olivetti non lo si neutralizza con l’impoverimento dell’analisi, ha resistito per cinquant’anni (da morto) a forze molto più potenti che hanno tentato di neutralizzarlo, più o meno consapevolmente, attraverso la mistificazione”.

    Davide Cadeddu, studioso di Olivetti, soprattutto del suo pensiero politico, mi dice: “Certo sarebbe bello se la politica si servisse di Olivetti, ma la sua idea di comunità era l’opposto di quella di Salvini. Erano comunità inclusive”, ricordandomi il suo famoso discorso ai dipendenti del Natale 1955. Quello in cui Olivetti diceva: “E voglio anche ricordare come in questa fabbrica, in questi anni, non abbiamo mai chiesto a nessuno a quale fede religiosa crèdesse, in quale partito militasse o ancora da quale regione d’Italia egli e la sua famiglia provenisse”.

    Andando a fondo ci si accorge che è facile smontare una retorica che sembra potente, o una comunicazione che sembra efficace, ma è solo generica e violenta.


    Fonte: Internazionale
     
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    Adesso questa nuova modo di vestirsi in rosso, a sostegno dei migranti? Almeno avessero cambiato il colore, dato che venne già usato ai tempi per "rotestare" contro la lentezza per la ricostruzione di Amatrice.
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